Nei giorni scorsi il Parlamento europeo e il Consiglio hanno rinviato di almeno un anno la legge che vincola le aziende a fornire precise garanzie che confermino la provenienza del prodotto non riconducibile a terreni disboscati o la cui produzione non abbia causato degrado forestale.
Il Consiglio dell’Ue assicura che non c’è nessun passo indietro “sulla sostanza” della legge; ma per il WWF: “ritardarne l’applicazione di un anno – ha affermato Anke Schulmeister-Oldenhove, responsabile foreste presso l’ufficio politiche europee dell’ associazione – rappresenta un passo indietro. Non possiamo permetterci un altro anno di deforestazione.”
L’Italia, anche se non viene abitualmente considerata tale, è un paese forestale. La sua superficie boschiva è in aumento e questo pone nuove opportunità e nuovi problemi. Tra questi ultimi, oltre alla salvaguardia degli alberi stessi dagli eventi avversi (siccità, tempeste di vento, alluvioni, incendi, e rischi legati a parassiti), c’è la salvaguardia della biodiversità sia naturale che paesaggistica e culturale.
Tra le possibilità da cogliere, invece, c’è quella di far sì che i boschi siano un asset della transizione ecologica, non solo grazie alla sua funzione di “polmone verde” ma anche grazie all’utilizzo del legno, materiale riciclabile come pochi altri, in sostituzione di materiali con maggiore impatto ambientale.
In Italia il bosco si espande, ma va gestito, non solo come fonte energetica
“In Italia i boschi crescono in maniera fortissima – ha affermato Marco Marchetti, della Fondazione Alberitalia, che ha come scopo principale il contrasto e la mitigazione del cambiamento climatico indotto dall’uomo attraverso l’utilizzo di soluzioni basate sulla natura, e docente dell’Università La Sapienza di Roma, nel corso della scorsa edizione di Terra Madre a Torino – vorrei dire prepotente, senza che l’opinione pubblica se ne renda neanche conto, senza che neanche i decisori a volte se ne rendano conto. Sono già arrivati a 12 milioni di ettari, quasi il 40% del territorio, raddoppiando la loro superficie dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi.
Chi ci sta rimettendo sono da un lato l’agricoltura della media montagna, in cui l’abbandono per motivi economici sta favorendo la rinaturalizzazione, sia le pianure dove l’artificializzazione la fa da padrone.
I prati e i pascoli – afferma il docente – vengono schiacciati dall’aumento della ricolonizzazione naturale da un lato e dall’urbanizzazione dall’altra. Le foreste possono essere gestite in due modi: o segregandone l’uso, a scopo eminentemente e specialisticamente produttivo, oppure provando a integrarle nel paesaggio.”
Davide Pettenella, del Dipartimento territorio e sistemi agro-forestali dell’Università di Padova, ha fornito nella stessa occasione i dati dell’attuale utilizzo dei nostri boschi: “più del 70% del legname che utilizziamo va direttamente a usi energetici. Bruciamo il valore dei nostri boschi. Dobbiamo rovesciare questa logica di distruzione e il principio cardine alla base della strategia forestale è la gestione attiva delle foreste, la selvicoltura di qualità per impieghi industriali.”
Lo scenario dipinto da Pettenella ricorda che la sorte dei nostri boschi è condizionata anche da eventi politici come l’embargo su Russia e Bielorussia e la crisi energetica, che hanno impattato in maniera molto significativa sui prezzi e sulla domanda del legname.
Secondo Pettenella, producendo prodotti di qualità si hanno sottoprodotti che possono essere utilizzati come biomassa ai fini energetici e la produzione consentirebbe di mantenere quel livello di manutenzione dei boschi che dà la possibilità di avere i servizi. Perché dai boschi traiamo legno ma anche acqua, regoliamo il ciclo del carbonio, contrastiamo i fenomeni erosivi e forniamo servizi socio-culturali. Si tratta di prodotti molto diversi dal punto di vista economico che richiedono una regolazione dello Stato e interconnessione.
“Dobbiamo coordinare e integrare tre grandi agenti che sono il mercato, con le dinamiche dei prezzi e dei prodotti commerciali, lo Stato, nelle sue funzioni di regolazione e informative, e la Comunità.”
“Quel 70% del legname a usi energetici è un insulto all’intelligenza del Paese che potrebbe fare di meglio per quella risorsa naturale che abbiamo. Non dimentichiamo che le biomasse sono un’energia rinnovabile ma a patto che si rispettino dei parametri” ha affermato Antonio Nicoletti, responsabile Legambiente Italia per aree protette e biodiversità.
Nicoletti è anche consigliere dell’associazione senza fini di lucro che costituisce l’organo di governo nazionale del sistema di certificazione PEFC (Programme for Endorsement of Forest Certification schemes), cioè il programma di valutazione degli schemi di certificazione della buona gestione del patrimonio forestale.
“Questa infrastruttura del 40% del territorio – afferma il responsabile di Legambiente – è l’infrastruttura più potente del nostro Paese. Un’infrastruttura che porta dentro contraddizioni perché è frutto per la gran parte dell’abbandono, il che ha portato alla crescita della fauna selvatica, anche qui non senza contraddizioni per chi si occupa di allevamento, e oltre tutto la crescita delle foreste è avvenuta a discapito delle aree agricole e pascoli.
Abbiamo oggi un grande patrimonio che deve essere riorientato nella complessità del dare tante risposte, reggere a spinte localistiche e reazionarie. Le foreste devono continuare a essere un asset fondamentale della transizione ecologica, il legno deve essere un materiale di sostituzione perché deve sostituire la plastica dove non serve, il cemento nella costruzione, ridurre l’impronta ecologica e climatica dei prodotti e fare in modo che anche l’energia che si produce col legno sia sostenibile.”
Riciclare, non bruciare per salvaguardare il Mondo dalla deforestazione
La domanda che si pone è cosa “portare fuori” dai boschi nel quadro attuale.
“Il sistema di riciclo del legno – afferma Alessandra Stefani, presidente del Cluster nazionale Italia Foresta Legno – non ha eguali per altri prodotti. Come il legno non c’è niente che può essere riutilizzato infinite volte. Potremmo fare una catena di continuo riciclo con materiale che esce dai nostri boschi ma ancora non siamo riusciti a farlo.”
La questione riguarda non solo quello che accade in Italia, ma è importante anche in una prospettiva di salvaguardia delle foreste nel Mondo. Importiamo il legno da altri Paesi (secondo i dati 2019 del CREA, principale Ente di ricerca italiano dedicato alle filiere agroalimentari, l’industria italiana dei prodotti legnosi importa oltre l’80% delle materie prime dall’estero).
“Ma quando noi importiamo certi legni tropicali bellissimi siamo sicuri che quel taglio non abbia portato qualche danno alla foresta di quel Paese dove è stato prodotto, dove la legislazione è meno forte e meno tutelante? – conclude Stefani – Usare il nostro legno vuol dire proteggere il legno degli altri Paesi.” Un modo molto concreto, anche, per rispondere ai ritardi dell’Europa sulla applicazione delle norme di tutela contro la deforestazione.