DOSSIER “GIUDIZIO UNIVERSALE” Le sentenze giuridiche potrebbero essere un punto di svolta contro i cambiamenti climatici

DOSSIER “GIUDIZIO UNIVERSALE” Le sentenze giuridiche potrebbero essere un punto di svolta contro i cambiamenti climatici

Sono passati più di vent’anni dalla sesta Conferenza delle parti (COP 6) delle Nazioni unite a L’Aia durante la quale si parlò per la prima volta di “giustizia climatica”. Con questo termine si indica il fatto che il riscaldamento globale non ha solo implicazioni ambientali, ma anche etiche e politiche. 

Si è arrivati a questo nuovo concetto collegando gli effetti del cambiamento climatico alla nozione di giustizia e a importanti concetti quali uguaglianza e diritti umani.

Assunto fondamentale della giustizia climatica è che coloro che subiscono le conseguenze più gravi del riscaldamento globale sono coloro che hanno contribuito in misura minore a crearlo. 

Oggi il termine sempre più spesso indica le azioni legali intraprese su questioni relative al cambiamento climatico. Il punto di partenza è che non si può più slegare l’emergenza ambientale dal godimento dei diritti umani fondamentali, quello alla vita, alla salute, all’acqua, alla casa. 

Il termine giustizia climatica appare per la prima volta nel 1999 in un articolo di CorpWatch sulla responsabilità dell’inquinamento dei paesi industrializzati a svantaggio delle nazioni che subiscono gli effetti del cambiamento climatico (©SchneiderElectric.com)

Le condizioni climatiche influenzano tutti questi diritti, non solo quelli di coloro che vivono nel presente le conseguenze devastanti del surriscaldamento globale, ma anche quelli di coloro che le dovranno affrontare nel futuro, questione che già oggi si prefigura come uno scontro intergenerazionale.

Scienza, politica e diritto: un legame sempre più stretto

In Italia, un gruppo di legali ha fondato la rete “Legalità per il clima”. Si tratta di ricercatori, giuristi, avvocati ed esperti di diritto climatico che offrono formazione, consulenza e supporto legale nel portare le conseguenze dei cambiamenti climatici in tribunale. 

È la  squadra che porta avanti la causa “Giudizio Universale”, intentata nel giugno scorso da parte di più di 200 tra cittadini e associazioni contro lo Stato italiano, reo, secondo i ricorrenti, di non fare abbastanza e prendere adeguate misure contro il surriscaldamento globale e di conseguenza di non tutelare i propri cittadini. In pratica, di non adempiere ai dettami costituzionali. 

Più di 200 ricorrenti e 24 associazioni impegnate nella giustizia ambientale e nella difesa dei diritti umani hanno deciso di intraprendere un’azione legale mai intentata prima in Italia. Oggetto della causa è citare in giudizio lo Stato per inadempienza climatica (©isde.it)

I cambiamenti climatici ormai non sono più soltanto una preoccupazione della comunità scientifica, ma coinvolgono tutti noi, tanto che i cittadini stessi hanno deciso di far sentire la loro voce a riguardo.

Secondo il giurista Michele Carducci, Giudizio Universale potrebbe essere un punto di svolta

È ormai chiaro che esiste un legame tra scienza politica e diritto, tuttavia, come afferma Michele Carducci, professore di Diritto costituzionale comparato e climatico nell’Università del Salento, dove coordina il Centro italiano di analisi ecologica del diritto e diritto climatico comparato, tale legame dipende da quanto previsto nelle costituzioni e non è sempre lo stesso, ma segue due diversi modelli: quello statunitense e quello europeo.

Michele Carducci, professore di Diritto costituzionale comparato e climatico nell’Università del Salento (©lecceprima.it)

Il modello costituzionale statunitense prevede che la scienza rifletta la libertà individuale, di opinione e di proprietà, restando indifferente a qualsiasi deliberazione politica. 

Lo Stato italiano, invece, segue il modello europeo, nel quale la scienza ricopre una funzione sociale per il benessere collettivo ed è considerata come una “riserva di conoscenze” che la politica deve rispettare. 

All’interno del contesto europeo, secondo Carducci, che è anche esponente della “Rete Legalità per il clima”, la situazione italiana di consapevolezza giuridica riguardo ai temi ambientali è meno sviluppata rispetto agli altri Stati. 

“In particolare – afferma Carducci – i giudici e gli operatori del diritto considerano il tema climatico al pari di un qualsiasi altro tema ambientale e denotano così di non aver compreso molto dell’esperienza inedita e drammatica dell’emergenza climatica.”

Per il contrasto ai cambiamenti climatici, gli enti istituzionali adottano due tipi di approccio. L’Italia sta perseguendo l’approccio di tipo “compromissorio”, che si basa sul fissare degli obiettivi, ai quali ciascuno dovrebbe mirare con le proprie azioni.

“Senza alcuna definizione delle tempistiche o delle tipologie mirate di intervento – secondo il giurista – questo approccio si rivela inconcludente e rende impossibile effettuare delle verifiche periodiche che ne attestino l’efficacia.”

La situazione è ben diversa quando vengono definiti dei vincoli, previsti nell’approccio che il professore chiama “prescrittivo”. In questo caso, i vincoli fungono da limiti per qualsivoglia decisione da parte degli organi statali e facilitano così il processo decisionale. Questo approccio è utilizzato in alcuni Paesi europei, come la Germania.

Sono molteplici, quindi, i cambiamenti in fatto di politica ambientale che potrebbero essere presi in considerazione dalla classe dirigente italiana. La causa climatica in atto potrebbe rappresentare un punto di partenza. 

Nell’ipotesi che il giudice civile condanni con sentenza definitiva lo Stato ad abbattere le emissioni in misura superiore a quella attualmente determinata, lo Stato sarà obbligato ad attenersi al contenuto della sentenza. 

(©orfonline.com)

E se tali indicazioni non verranno ottemperate, i ricorrenti potranno ulteriormente usufruire di altri tre strumenti giuridici. Il primo sarebbe il giudizio di ottemperanza, attraverso il quale si richiede l’adempimento dell’obbligo, il secondo strumento sarebbe la coercizione indiretta, in cui è previsto il pagamento di cospicue somme di denaro per ogni violazione e il terzo, dell’illegittimità consequenziale, ossia il diritto di far accertare l’illegalità dell’operare di qualsiasi organo dello Stato che non si attenga a quanto stabilito dal giudice. 

“Lo Stato – conclude Carducci – a questo punto non potrà tirarsi indietro.”

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